di
Giovanni Piazza
Maledetti Savoia
L’esigenza di verità non sia mai tentativo di
mettere in discussione l’unità del paese.E’ però necessario, per meglio
comprendere il presente, conoscere quel passato che lo ha generato.
Affinchè quella unità possa pienamente e coscientemente arricchirsi
anche della consapevolezza dei propri errori. MALEDETTI SAVOIA?
Risorgimento. Gloriose pagine di splendide figure patriottiche o sporca
guerra di conquista? Certamente un revisionismo dei vinti non
avrebbe motivo di esistere, se non considerando falsate le annessioni
plebiscitarie ufficiali con le quali questi ultimi si consegnarono ai
vincitori. Mentre la possibilità di accesso a carteggi, inaccessibili
per decenni, lascia intravedere abbastanza chiaramente la preesistente
volontà di occupare il ricco sud con la sola legittimazione della forza.
Volontà, questa, di un piccolo e retrogrado stato, indebitato da una
miriade di guerre regolarmente perdute, e messa in atto da personaggi
“padri della patria”, quali Vittorio Emanuele, Cavour, Mazzini e
Garibaldi, ognuno dei quali aveva in pessima considerazione gli altri. E
se risponde certamente a verità che il Borbone, come peraltro tutti i
regni del tempo, non fu per nulla liberale e tenero con i propri
sudditi, risulta altrettanto evidente quanto quella illiberalità ebbe
modo di dare il meglio di sè, quando si espresse in savoiardo.Perchè la
piemontesizzazione a cui fu costretto il sud, imponendo legislazioni e
moneta proprie ed abolendo usi e costumi delle regioni annesse,
unificando l’enorme debito di stato a quello praticamente inesistente
delle Due Sicilie, innalzando a dismisura il prelievo fiscale (cosicchè
il sud pagò di tasca propria la propria liberazione), predando e
trasferendo al nord ogni potenzialità che risultò determinante per la
nascita di quel polo industriale (le navi dei Florio, trasferite a
Genova, costituirono il nucleo principale della Navigazione Generale
Italiana, mentre le realtà dello stabilimento di Pietrarsa servirono a
far decollare l’Ansaldo), predando il Banco di Sicilia ed il Banco di
Napoli delle molto consistenti riserve, confiscando le terre ed i tesori
della chiesa ed usando le rendite derivanti dalla loro vendita ad
esclusivo vantaggio del nord, praticamente usando delle Due Sicilie allo
stesso modo in cui l’usurpatore austriaco aveva usato dell’Italia, creò
in pochissimi anni quell’assunto del “briganti o migranti” mai esistito
in precedenza. Assunto, questo, mostratosi triste preludio alla
esplosione della questione meridionale che, tuttora irrisolta, continua
a deflagrare tra le sventurate avversità del sud. Certo è, peraltro, che
se il nostro essere di parte, la parte dei vinti, possa non concedere
immediata ed incondizionata credibilità ad una tale ed interessata
percezione, anche l’assegnare la patente di neutralità agli storici dei
vincitori, che hanno fatto del risorgimento un romanzetto strappalacrime
intriso di inenarrabili eroismi e di disinteressati sacrifici, presenti
analoghe difficoltà.
Storici che hanno avuto il compiacente servilismo di tacere sulle stragi
e sulle deportazioni e che per oltre un secolo hanno nascosto, sotto
l’infamante tappetino del brigantaggio, persino il sangue innocente. Ma
troppo evidenti sono oramai gli indizi che conducono ad una seria
revisione di quella romanzata epopea risorgimentale. E troppo numerosi,
i testi che da tempo si dissociano dall’immobilismo sacrale
dell’ufficialità. E se quei testi e quegli indizi mostrano già una
devastante e devastata realtà, è certo che ancor più devastante sarebbe
il liquidarli semplicemente come stupidi sentimenti di rivalsa.
Emblematico, e recentemente venuto alla luce, il carteggio di una lunga
e sconcertante trattativa del governo piemontese che chiede a più
soggetti di poter disporre di un’isola sulla quale confinare i
prigionieri duesiciliani. Tentativo, questo, che si protrasse almeno
fino al 1872 (dodici anni dopo l’annessione), e che apre un ulteriore
squarcio sul periodo di terrore e su stragi e deportazioni perpetrate
contro intere città. Ponendo l’inquietante interrogativo di quanto
numerosi ancora fossero i detenuti nei lager sabaudi (terribile e
temutissimo, quello di Fenestrelle).“Briganti” braccati solo perchè
fedeli ad un giuramento, o indipendentisti o, semplicemente, picciotti
renitenti ad una coscrizione estranea al loro costume, che privava le
famiglie delle migliori braccia e le condannava a miseria e
disperazione. “Briganti”, talmente numerosi nonostante le continue
eliminazioni in calce viva causate da stenti, privazioni, torture e
fucilazioni, da rendere necessario il reperimento di un confino che
potesse contenerli e totalmente isolarli. “Briganti”, a cui li relega il
ruolo di vinti, in quella storia scritta dai vincitori che non si
preoccupa nemmeno di dover giustificare le gesta “eroiche” di quei
mille, che lo stesso Garibaldi, in parlamento a Torino il 5 dicembre
1861, definisce: «tutti generalmente di origine pessima e per lo più
ladra; e tranne poche eccezioni con radici genealogiche nel letamaio
della violenza e del delitto». Emblematico e paradossale, anche in
questa desolante evidenza, come la “gloriosa epopea risorgimentale”
abbia la criminale spudoratezza di far proseliti “nel letamaio della
violenza e del delitto”, e che alla fine, sdegnosamente, non esiti a
smentirlo. Ecco quindi che la miriade di atti in possesso dei vari
ministeri, gli archivi dei Savoia, se ancora esistenti, quelli dei
Borbone e di mezza Italia e le tante memorie autobiografiche
permetterebbero certamente di fare maggiore chiarezza su uno dei periodi
più tristi della storia del sud e di far luce sulle accuse di piraterìa
e schiavismo rivolte al Garibaldi. Quel Garibaldi difensore e paladino
del popolo, ma accusato di stragi e proprietario di gran parte di
Caprera e beneficiario, per il figlio Menotti, di ingenti somme mai
restituite al Banco di Napoli. Chiarezza sulle accuse di pavidità al
Mazzini, traditore della causa repubblicana.
Sulla inettitudine ed ingordigia dell’intera casa Savoia. Sulla
spregiudicatezza criminale di Cavour e di Crispi e sul ruolo
determinante della massoneria internazionale. Come pure, sulla
incredibile credulità di tanti patrioti.
Uno per tutti il Pisacane, partito come Garibaldi per una spedizione
impossibile perchè convinto ad arte che il sud si fosse già sollevato,
ma che, molto ingloriosamente, venne massacrato dagli stessi contadini
che voleva liberare.
Ben venga, dunque, qualsiasi contributo che serva a ristabilire un
briciolo di verità storica, a ridare una postuma dignità a quanti
briganti non furono, semmai non lo furono, ed a quanti, in fede,
combatterono e resistettero senza l’aiuto di una quinta armata che li
conducesse alla vittoria e garantisse loro la qualifica di partigiani.
Se appare ormai certo che i savoia organizzarono annessioni
plebiscitarie universalmente riconosciute di nessun valore, è peraltro
altrettanto certo che il sud non userà lo stesso iniquo metodo, regale
solo nella empia efferatezza. Ma se ciò, come da più parti traspare,
dovesse continuare a rivelarsi, in tutta la sua mostruosità, come un
immenso genocidio di massa dei duesiciliani indiani d’Italia, sarà
doveroso e comprensibile, allora, che dalle nostre valli torni a levarsi
il grido, solo, unico ed indivisibile: il grido di MALEDETTI
SAVOIA! Un siciliano
(Giovanni Piazza)
Una via dedicata ai bersaglieri, a Genova, città che reagì al progetto
con la nascita di un movimento popolare spontaneo, ricordando come le
truppe sabaude del La Marmora, ed in special modo i bersaglieri, per
reprimere la rivolta antisavoia del 1849, annoneggiassero prima e
saccheggiassero poi, perché "non merita riguardo una città di ribelli".
Vittorio Emanuele ringraziò il generale con una lettera, in francese, in
cui definisce gli insorti genovesi "una vile e infetta razza di
canaglie".
Appunti e contrappunti
I
Comu a Genova, "Via dei Bersaglieri",
dopu ca la sfascianu già ddi stissi.
Ciàvi centanni ecchiù ma parsi aieri
ca ddu gran sorti di gran re ci dissi:
"Fofò, soggioga a sacco e rappresaglie
la vile e infetta razza di canaglie."
II
Ed il prode La Marmora chi fici?
Prima si li va pigghia a cannunati
poi li fa catafùttiri a pirnici
de bersaglieri e l'autri so' surdati.
Ora però, pi sbergiu e fantasìa
ci vonu dari tìtulu a la via.
III
Pirchì, nga comu ni finì, cca ssutta?
Piazze e vie Garibbaldi a tinchitè.
Si, l'eroe dei due mondi, a dirla tutta
ci fussi di sfunnari l'arritrè
facennu sulu appuntu e contrappuntu.
Comu chi ddici! Comu chi ti cuntu!
IV
Cumpà, quello era un latro di cavaddi
che faceva il pirata bucaniero,
di pilu lungarinu a supraspaddi
pirchì n'oricchia ci mancava vero,
no pi mancanza, ma tagghiata e vvìa
pirchì campava di piratarìa.
V
E a la ranni casata savuiarda
sempri in bulletta e dèbbiti 'nsubbissu
astura s'alliccàssiru la sarda,
pirchì campannu cu ddu chiovu fissu
di sempiterna guerra di cunquista
ci sirviva qualcunu ntrallazzista
VI
pi inchìrisi li cassi strafunnati
e allura cu l'aiutu di li ngrisi,
di du navi e di milli sgangarati,
senza pruvocazioni e senza offisi
e senza mancu dichiarari guerra
pigghiò l'assaltu di sta nostra terra.
VII
E arriparati arrera a li Britanni,
ca sempri lingua ngrisi è Ddiu di guai,
sbarcaru senza botta e senza danni
accuminciannu l'òpira chi sai
e stabilennu sèmplici e pricisi
ca l'Italia la fìciru li ngrisi.
VIII
E milli e milli piastri ci custò
e s'accattò ddi stupiti ufficiali
burbuni e tradituri ca di so'
ci pèrsiru la facci tali e quali
ca ognunu si stuiavanu li mussa
non cuntrastannu la camisa russa,
IX
mentri ddu sicilianu sinciruni,
ca ci parsi d'aiutu spassiunatu,
assicutannu fora a lu Burbuni
prestu scarì la virità di statu
ca ammenzu a stragi di carnificina
iva avanzannu a la garibaldina.
X
E Ciccu prutistò, cu ddu cugginu
piemontisavoiardu, ma Camiddu
risposi a tuono e di pinzeru finu
dichiarànnusi fora e liddu liddu
dissi ca cu la garibbalda truppa
nun ci spartiva chiummu emmancu stuppa.
XI
Ma intantu già l'armata piemuntina
pigghiava postu, mentri a menzu via
iva canciannu l'aria già cchiù fina
e lu culuri di la tirannìa,
scura e nniura di cori e chianu chianu
già russa di lu sangu sicilianu.
XII
A Garibbaldi poi si lu iucanu
ca essennu persunaggiu incontrollàbbili
sùbbitu ci svutò ripubblicanu
mentri pi governari in pianta stàbbili
al savoiardo pòrsiru vantaggi
cullabborazionisti e licchinaggi.
XIII
Pirchì stu generali in virità
nun ci assa mai pinzatu a la cunquista
e l'impresa ca si dimostrerà
vincenti ma ridicula a la vista
fu attenta e priparata a tavulinu
di ddu Camiddu ciriveddu finu.
XIV
Peppi, - ci dissi - tutto il meridione
ha misu manu all'arma e cu valìa
ha posto in fuga il pèrfido borbone.
Tu basta ca t'affacci accomusìa
e ti pigghi lu meritu e la gloria
svutannu al savoiardo la vittoria.
XV
E comu lu criaturi Pisacanu
ddu babbu ci cridì, partennu a razzu,
e chiddu ca nun fu colpu di manu
ma sulu di chiù sutta e d'intrallazzu
fu principiu di sorti disgraziata,
sdisulannu stu regnu a na palata.
XVI
E dannu casa a latri e malfattura
dessi la scusa a dda gran testa fina
d'interveniri cu la manu dura.
Sulu ca poi, camina ca camina,
Garibbaldi pinzava, ma a stu puntu
mi pigghiu Roma eppoi ci lu va cuntu.
XVII
Ma testafina lu capì a na botta
ca disturbannu l'aria papalina
s'assa nfuddatu assaidicchiù la lotta
mittennu in forsi puru la rapina
e senza appagnu e chiàcchiri di fera
lu rimannò di cursa a la Caprera.
XVIII
Ma no p'esigliu o pi cunnanna trista
pirchì menza di l'isula era so'
e si suspetta a ffari lu schiavista
si fici il soldo eppoi si l'accattò,
pirchì la patria è patria e sempri sia,
però la proprietà mancu babbìa.
XIX
E' fatta - fece il savuiardo - e allura
sia fatta l'annessioni pi memoria
pirchì l'impresa di sta truvatura
sia già ligittimata di la storia
e allura vota, sìculu, e perciò
sicciài curaggiu vòtici di no.
XX
E seicentu e sissanta e setti frati
l'èbbiru, stu curaggiu smusuratu
e nonostanti li minacci armati
svutanu e rivutanu di ddu latu
lassannu impiritura la memoria
e pigghiannu l'appuntu cu la gloria.
XXI
L'Italia è unita, il popolo è cu mmìa -
dissi lu savoiardu a l'intrallazzu,
e accuminciò cumpleta la razzìa
e li tisori li cugghiva a mazzu
e arricampannu ogni di chi truvava
mancu l'occhi pi chiànciri lassava.
XXII
Ogni cassadominiu cumunali
ca assupirchiò di poi di li sacchiggi
fu sanu sanu siquistratu e tali
sucatu in nomu di rigali liggi
pirchì la ranni e savuiarda panza
nun canusci musura né suttanza.
XXIII
Ogni chiesa di regula spugghiata
giammentri ogni tirrenu papalinu
fu spussissatu, ed ogni tassa isata
a livellu di furtu e di rapinu
sulu pi smusuratu conquibbussu
a lu grifagnu savuiardu mussu.
XXIV
E la terra prumissa fu la fossa,
e la miseria la liberazioni,
mentri l'eterna sìcula sommossa
puru si frammiscata a lampi e troni
nenti ci potti contra a l'armamenti
ca Cadorna calava i cchiù putenti.
XXV
E carzarati a la furesterìa
a Finistreddi mòrsiru a cafolu,
o briganti o migranti, era la via
senz'autru versu di pigghiari volu
sinnò comu briganti di catina
in sempiternu sutta formalina.
XXVI
Pirchì briganti prima nun cinn'era?
Com'è ca poi ci vinni vucazioni?
E ammenzu a tanti chiàcchiri di fera
n'arresta sulu, a centru di questioni,
cirtizza ca ddu nòrdicu sviluppu
si raddrizzò, cunzànnusi lu tuppu,
XXVII
sulu grazi a lu sangu e li tisori
duisiciliani, e ddu risorgimentu
ca ni chiantanu a forza nta lu cori
cantatu nta li libbra a centu a centu
s'addimustrò, liggennuci la lista,
una misara guerra di cunquista.
XXVIII
Comu a Genova, "via dei bersaglieri",
dopu ca la sfascianu già ddi stissi.
Ma essennu nui meridionali e fieri
d'èssiri tali, pi nun dari bissi
è duvurusa nostra volontà
pritènniri sia fatta verità.
Giovanni Piazza
6 Giugno 2009 |